Gaspard d'Ardenne di TIZAC

Manoscritto autografo illustrato.

Undici pagine in-8°.

Slnd [Fine XIX secolo]

 

“All'improvviso, nel mezzo di un verso recitato, tutti contemporaneamente alzano la mano destra verso il cielo come per attestare Allah. »

Eccezionale manoscritto illustrato con numerosi disegni a penna che raccontano le usanze del Ramadan e le preghiere musulmane in una città orientale del XIX secolo.

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«A Madame Téter. L'altra sera siamo andati in famiglia alla moschea : racconterò le nostre avventure agli occhi grigi della mia signorina Téter, che avrebbero brillato come candele, di curiosità e di malizia, se fosse stata con noi, se avesse visto le cose divertenti che ci divertivano noi stessi. Da tempo avevamo programmato di visitare una moschea e per questo aspettavamo le vacanze del Ramadan. Per prima cosa devo spiegare al mio piccolo tesoro cos'è il Ramadan. Il Ramadan è la Quaresima araba. La celebrazione, insomma, consiste nel digiuno di quaranta giorni. Per un mese e una settimana, quindi, non bisogna mangiare da mezzanotte fino al tramonto. Dal pomeriggio vediamo gli arabi vagare per le strade e per la piazza, come fantasmi, avvolti nei loro burnus bianchi e nei mucchi di biancheria, sottili, gialli, stirati – come fantasmi che avevano fame... di solito i fantasmi non hanno fame. Alcuni sono seduti all'angolo dei terminali e recitano il rosario, mormorando chissà cosa. Quando viene l'ombra, si radunano in gran numero in una sorta di piazze o meglio di terre desolate sotto i bastioni, fuori della città. Tenendo in mano scatole di fiammiferi... all'improvviso: boom! è il cannone che annuncia che il sole è scomparso dietro le montagne. A questo segnale, in città, sulle strade, anche in campagna, diecimila fiammiferi si accendono, tante sigarette sono accese: questa gente sorprendente ha più voglia di fumare che di cenare. Cinque minuti dopo non era rimasto più nessuno per strada; tutti i burnus sono tornati, tutti gli arabi divorano il couscous – che è una specie di paté di semola, e che ha un perfetto sapore sabbioso.

Ora, era una sera di Ramadan. Dopo cena, un vecchio cabilo, che ci fa il lavapavimenti, viene a prenderci a casa, all'orario concordato. Ci riuniamo con alcuni amici, e tutti insieme, sotto la guida e la guardia di Bashir, ci dirigiamo verso la città araba : non sarebbe prudente che gli europei vi entrassero da soli. Quella sera il tempo era molto bello; la luna splendeva luminosa. Attraversiamo un mucchio di stradine strette, tagliate a zig-zag, attraversiamo piccole piazze grandi come fazzoletti, sgomitiamo folle di arabi; Era la prima volta che entravo nella città araba, e la guardavo con tutti i miei occhi. Le strade, le case, in questo quartiere; non sono diversi da ciò che vediamo nelle strade arabe del quartiere europeo, di cui vi ho fornito alcuni schizzi. Sempre le case dai grandi muri bianchi, dipinti di calce dalla testa ai piedi, forati di piccoli fori e con un'unica porta bassa, con una specie di balconi chiusi sporgenti in avanti, che noi chiamiamo moucharabiehs , credo; le strade lastricate di teste di chiodi, altrettanto sporche, altrettanto tortuose, altrettanto strette, altrettanto ingombre di oggetti di ogni genere che restano lì a sbarrare la strada. Oltrepassiamo tutti i tipi di cose che vediamo solo a metà. Ma la luce della luna, che è splendida, cambia l'aspetto di tutto ciò. Le case da un lato della strada sono tutte bianche, come il gesso, e dall'altro, nere come l'inchiostro. L'ombra dei muri, con i suoi angoli, le sue rientranze, forma, sui muri bianchi di fronte e sul pavimento, come dei ritagli incollati su un foglio di carta. Qua e là piccoli fori quadrati nei muri, quelle che qui chiamiamo finestre. Le porte sono tutte basse; hanno un aspetto triste, come le porte di una prigione. Passaggi tortuosi, tutti neri, si tuffano, a destra e a sinistra; portici bui si aprono di fronte alla strada, e oltre vediamo altri muri bianchi, altri piccoli buchi quadrati. Non siamo molto rassicurati quando passiamo sotto queste volte buie.

Facciamo un lungo percorso attraverso questi vicoli, questi archi, questi incroci. Finalmente ci fermiamo davanti a una casa uguale alle altre, davanti a una porta come tutte le altre porte, altrettanto bassa; solo questo è aperto mentre tutti gli altri sono chiusi con pesanti catenacci. Il nostro arabo ci fa cenno di entrare in questo corridoio dove vediamo arabi in burnus bianco scivolare come ombre, sfiorando i muri. Mi sono stupito di non sentirli camminare: la cosa mi è stata subito spiegata: in moschea entriamo solo a piedi nudi ... Eccoci, dobbiamo toglierci anche le scarpe... Abbiamo varcato la soglia, siamo in un piccolo corridoio, che immette in un cortile quadrato, abbastanza stretto, illuminato dalla luna, e circondato da un porticato buio. Lì mi sembra di vedere un mucchio di grandi sacchi di grano per terra! All'improvviso si rialza: e mi accorgo che sono arabi prostrati, in preghiera, nel cortile stesso e lungo i vestiboli. Attraversiamo il cortile, pavimentato con pietre levigate e lucenti: fa molto freddo ai piedi! – veniamo portati alla porta principale della moschea. Non ci è permesso entrare, ma dalla porta possiamo vedere tutto molto chiaramente. La moschea è una grande stanza oblunga, a volta, con due file di arcate e colonne. Niente, in termini di mobili; niente panchine, niente sedie, niente tribuna, niente altare; le pareti spoglie, imbiancate, senza decorazioni di alcun genere. La stanza è illuminata da alcune candele, ma non è illuminata. Il tutto non rende affatto l'idea di una festa. Sono circa duecento gli arabi in piedi e in preghiera, con diversi atteggiamenti di devozione. Nemmeno la musica, né il canto. In certi momenti tutti pronunciano insieme, con voce soffocata, certe formule; altre volte un marabutto, che sembra essere il prete, benché non si distingua in alcun modo dagli altri assistenti, né per il costume né per altro, pronuncia, come canticchiando, parole che hanno l'effetto di «un comando di esercizio...» .

Ad un certo punto tutti i duecento arabi caddero in ginocchio, con lo stesso movimento; ad un altro segnale si prostrano e colpiscono la terra con la fronte. Un'altra parola e tutti si alzano subito. Poi...si ricomincia. A volte i credenti, tutti insieme, chinano il capo e restano immobili, in meditazione, per qualche istante; Altre volte sembrano nascondere il volto con i pugni o avvolgersi la testa con una sorta di velo: immagino sia per evitare distrazioni. All'improvviso, nel mezzo di un verso recitato, tutti contemporaneamente alzano la mano destra verso il cielo come per attestare Allah ; ... poi è il marabutto che parla o recita, non so, con grandi gesti lenti, tendendo le braccia: senza dubbio sta profetizzando, perché tutto il pubblico sembra trasportato dall'ammirazione. Questo apostolo mi sembra un negro, tanto è nera la sua faccia. Mentre pronuncia certe parole, alza entrambe le braccia verso la volta e getta indietro la testa : la prima volta, pensavo che stesse per cadere. Mancano ben tre minuti alla fine in questa singolare posizione. Poi ricominciarono le genuflessioni; le prostrazioni a terra si ripetono tre volte tre volte. All'improvviso vedo solo duecento schiene prominenti e, visto che sono di spalle, il tutto non offre nulla di assolutamente grazioso... sono i sacchi di farina.

Questi esercizi, eseguiti con perfetta simultaneità, mi divertirono non poco, e sarei rimasto volentieri ancora un po'. Immaginate, signora Téter, cosa vuol dire stare a piedi nudi sul marciapiede per mezz'ora... cominciavo ad averne abbastanza. Nonostante i miei compagni siano più curiosi di me o meno sensibili alle piante, do il segnale di partenza. Entro nel corridoio buio, trovo il mio arabo sotto il vestibolo, che tiene le nostre scarpe... Questo spettacolo mi ha fatto piacere; perché da un po’ mi frullava per la testa un’idea: “se solo l’avesse fatto!” ". Così si conclude la mia visita ai Luoghi Santi dei credenti. Vorrei anche far notare a Madame Téter che in questa chiesa araba vanno solo gli uomini. Le donne, dicono i musulmani, non sono degne di pronunciare il nome di Allah! »

 

 

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